Qualche tempo fa è apparso su The New Yorker un articolo intitolato "The Battle for Attention" (https://www.newyorker.com/magazine/2024/05/06/the-battle-for-attention), scritto da Nathan Heller. L'autore parte da un dato di fatto: la nostra capacità di concentrazione è significativamente diminuita negli ultimi anni, principalmente a causa dell'influenza crescente della tecnologia e della vita digitale.
Heller, che fa parte dello staff del New Yorker dal 2013, ricorda una scena osservata durante un viaggio in metropolitana. Descrive come le persone si muovano freneticamente tra video, messaggi e altre distrazioni digitali, lottando per mantenere un'attenzione sostenuta. Questa frammentazione dell'attenzione è aggravata da molteplici fattori, tra cui il multitasking diffuso e il design stesso delle piattaforme digitali, progettate per mantenere gli utenti costantemente coinvolti. Tutti noi abbiamo vissuto esperienze simili.
Heller evidenzia dati preoccupanti sul declino della capacità di attenzione. L'OCSE, l’organizzazione per lo sviluppo economico, ha segnalato una riduzione nelle competenze di lettura, matematica e scienze tra gli adolescenti, in parte legata alle distrazioni digitali.
Le diagnosi di disturbi come l'ADHD (deficit dell’attenzione) sono in aumento, soprattutto tra i bambini in età scolare. Anche i media ne hanno risentito, con una riduzione della durata dei film e delle canzoni pop, per adattarsi alle nuove dinamiche.
Il settore della pubblicità è stato tra i primi a notare e sfruttare questo fenomeno, cercando di catturare l'attenzione degli utenti con strategie sofisticate. Tecnologie avanzate come il tracciamento oculare e il "facial coding" vengono utilizzate per misurare il valore dell'attenzione.
Uno dei pionieri nell'uso del tracciamento oculare per questi scopi è stato Daniel Kahneman, noto per i suoi studi sulla psicologia dell'attenzione. Kahneman ha insegnato in prestigiose università come la Hebrew University e Princeton, ed è famoso soprattutto per la sua collaborazione con Amos Tversky sulla teoria delle prospettive, che ha rivoluzionato le teorie economiche sulle decisioni. Questo lavoro gli ha valso il Premio Nobel per l'Economia nel 2002. Kahneman è stato anche allievo di Herbert Simon, e nel suo libro Attention and Effort (pubblicato nel 1973 e tradotto in italiano nel 1981 da Giunti con il titolo Psicologia dell'attenzione), esplora il concetto di attenzione e il suo ruolo nell'elaborazione delle informazioni cognitive.
Kahneman si concentra sulle differenze tra due tipi di attenzione: selettiva e sostenuta.
L’autore spiega già negli anni ’70, come l'attenzione sia un fattore chiave nella nostra capacità di percepire, elaborare e rispondere alle informazioni provenienti dall'ambiente. Analizza in particolare come lo sforzo mentale viene distribuito tra diverse attività. Kahneman ha proposto approfondimenti su un tema caro a Herbert Simon: l’attenzione come risorsa limitata, cercando di verificare quali siano i confini nella nostra capacità di gestire più compiti allo stesso tempo.
Alla fine Heller sul New Yorker ci offre un repertorio aggiornato ai giorni nostri piuttosto sconfortante.
Le campagne pubblicitarie vengono sempre più ottimizzate per un pubblico con una capacità di attenzione inferiore a quella di un pesce rosso, come sottolineato da un dirigente di Mastercard. Grandi agenzie, come Dentsu, utilizzano nuove tecnologie, tra cui il tracciamento oculare e la codifica facciale, per misurare e massimizzare il valore dell’attenzione degli spettatori. Questa dinamica ha portato alcuni studiosi a considerare l'attenzione non solo come una risorsa economica, ma come un potere capace di conferire valore a ciò su cui ci si concentra.
Heller esplora anche temi di carattere più filosofico. Cita Yves Citton, teorico della letteratura, che suggerisce che l'attenzione non debba essere vista come una semplice unità economica, ma come una risorsa che arricchisce il mondo circostante. Citton mette in discussione l'idea che il calo dell'attenzione sia imputabile esclusivamente alla tecnologia; piuttosto, lo vede come parte di una trasformazione culturale e ideologica verso l'efficienza e la misurazione obiettiva.
E qui la questione si fa molto interessante da approfondire e non mancano riferimenti e riflessioni che vanno in quella direzione. Cercheremo nel corso delle prossime newsletter di lavorare su questi aspetti.
Tuttavia, ciò che ha catturato maggiormente la mia attenzione, leggendo l’articolo è stato il riferimento a un'organizzazione segreta chiamata Order of the Third Bird. Gli adepti di questo gruppo si dedicano a pratiche di attenzione intenzionale su opere d'arte. Si riuniscono in musei per osservare attentamente opere (anche non molto note) per periodi prolungati, cercando di ristabilire un rapporto profondo con l'attenzione, come forma di resistenza alla frammentazione moderna.
Questa pratica, spiegata attraverso il racconto di alcune azioni svolte, diventa un modo per "realizzare" l'opera d'arte, darle significato attraverso l'attenzione e il dialogo. Alcuni considerano questo un atto di resistenza contro la cultura del consumo rapido e della distrazione pervasiva.
Il riferimento era troppo interessante per non approfondirlo. Seguendo una procedura chiamata Standard Protocol, i partecipanti passano attraverso diverse fasi: "Encounter" (incontro con l’opera), "Attending" (dedizione e concentrazione completa), "Negation" (fase di liberazione della mente per eliminare l’immagine dell’opera), e "Realizing" (tornare sull’opera per ripensarla o completarla). Questa pratica collettiva di attenzione diventa un atto di resistenza contro la cultura della distrazione moderna.
I collegamenti dell’Order of the Third Bird con gli ambienti universitari e artistici sono molti ramificati. Ne parleremo nella prossima newsletter. Grazie.